sabato 17 novembre 2012

il volto delle città

Le nostre città negli ultimi cinquanta anni hanno subìto una diffusa perdita di identità.
Le vecchie immagini delle cartoline in bianco e nero dei borghi, dei porti, dei fronti stradali, sembrano restituire città incredibilmente più "vere", intense e riconoscibili.
Quelle che abbiamo di fronte al contrario sembrano relitti di città, incrostate da strati di automobili, di disaffezione, di omologazione e da miriadi di scatole di cemento senza anima.
Resistono sensazioni, che rimandano al volto noto delle città, nei centri storici spopolati e nei luoghi abbandonati. Nelle aree dismesse, che conservano l'odore inafferrabile delle fabbriche e le voci mute di generazioni di persone che lì hanno speso i giorni della loro esistenza.
Quei vuoti urbani - così vengono erroneamente chiamati - sono luoghi straordinari. Vere cerniere su cui la città si muove. Spesso sono al contempo cerniere fisiche, nella forma urbana, e cerniere temporali, perchè richiamano insieme il passato ed il futuro della città, trascurando il presente. Quel presente vorace e bulìmico che le guarda con cupidìgia, pensando di possederle e di trarne profitto in nome dello "sviluppo".
Quei vuoti sono lì a parlarci della città possibile, per suggerire un cammino.

Sono aree fatali, i vuoti urbani. A seconda di come vengono ripensate possono rappresentare il fulcro della rinascita verso una nuova dimensione urbana, figlia riconoscibile della città di un tempo, ovvero esserne la pietra tombale su cui è incisa la parola fine.
Ma possono anche determinare altre modalità di trasformazione, in cui la città muta senza divenire, come se si travestisse per assomigliare ad un'altra città, senza essere realmente un'altra città.

Porto qui tre esempi dei tanti che si potrebbero portare. Due si riferiscono a vuoti urbani già trasformati, l'ultimo ad uno in procinto di esserlo.

A Jesi, Bernardo Secchi individuò l'importanza delle aree delle vecchie fabbriche dismesse poste a ridosso delle mura meridionali del centro storico.
La scelta dell'urbanista si orientò decisamente nella prospettiva della "ricostruzione della città".  Una rigorosa operazione di ricucitura volta a legare il centro storico con il tessuto edilizio ottocentesco che si estende nella piana fuori Porta Valle, in cui fu inserito un sistema integrato di parcheggi e risalite pedonali.
Non tutto è stato realizzato così come Secchi avrebbe voluto, ma nel complesso può dirsi un'operazione corretta e fondamentalmente riuscita. Non entusiasmante ma efficace, nel senso che se non è riuscita a dare un nuovo volto alla città ha certamente consentito di ravvivare quello della città esistente. Cosicchè Jesi, nonostante lo spopolamento del centro storico, conserva una sua chiara identità.








Il secondo esempio che porto è Portorecanati, con l'area alle spalle del Comune.
 Qui, nel cuore  della città litoranea, è stato sviluppato un progetto complesso che comprende un nuovo accesso viario e un nuovo luogo centrale collocato sul lato opposto al mare rispetto alla direttrice del corso.
Strutturalmente si tratta quindi di un paradosso, di una provocazione o, se vogliamo, di un errore, dato che una città lineare costiera come Portorecanati non vuole, per sua natura, "luoghi centrali" ma scenari aperti (piazze) lungo la direttrice del corso, preferibilemtne sul lato del mare.
Questa anomalia è stata poi vestita attraverso l'architettura, o per meglio dire travestista, dei panni di un'altra città. Una città immaginaria: il borgo marinaro.
L'intera città, per effetto di questo intervento, è cambiata. Non è più la stessa.
Da sincera città di mare, non adeguatamente valorizzata ma genuina, ha assunto l'aspetto di una città di cartapesta, riproducendo questa nuova immagine in pressochè tutti i nuovi interventi edilizi.
 La sensazione, camminando in quel nuovo centro privo di desiderio di centralità, è di essere in uno di quegli scenari cinematografici che fanno da sfondo ad una fiction. E le persone, senza accorgersene, sono indotte a muoversi in quello spazio come fossero comparse di una recita.
Probabilmente questa nuova immagine piace e attira turisti. Ma della Portorecanati vera, quella delle cartoline di un tempo, non c'è più traccia. Questa è, in tutto e per tutto, un'altra città.
In ogni caso, riempendo quel vuoto urbano, si è concretizzata una ben precisa idea di città. Il risultato è stato, che lo si condivida o no, comunque "fatale".


Il terzo esempio riguarda invece un'area su cui ancora non si è intervenuti: l'area ex Ceccotti di Civitanova
 Collocata in una posizione di grandissima importanza nella forma urbana, ospita oggi il parcheggio utilizzato da chi vuole fare due passi a piedi lungo il corso della città, facilmente raggiungibile attraverso il sottopasso della stazione ferroviaria.
Civitanova, forse più di ogni altra città costiera delle Marche, ha l'anima della città di mare. L'odore intenso dei pescherecci pervade gran parte del centro storico sebbene il porto resti un luogo di lavoro, estraneo al passeggio serale.
La città si è dilatata soprattutto verso la valle del Chienti, ma il centro ha ancora il profumo dei caffè e delle pasticcerie dai nomi che rimandano ai luoghi da cui provengono i villeggianti estivi, come "la romana" o "la ternana". Più in alto, sulla collina, Civitanova Alta guarda il mare da un tempo diverso e più lontano. Silenziosa e affascinante come un ricordo ancora nitido nella memoria.
L'area Ceccotti è lì, in fondo alla valle che scende da Civitanova Alta. Al termine di un taglio di verde che penetra la città ed entra in contatto col centro storico marittimo, tra la ferrovia e la statale, sotto il cimitero.
Lì, nell'area Ceccotti, si conserva il futuro di Civitanova: la possibilità di pensare ad una città accessibile, ad una mobilità pubblica che utilizzi la ferrovia come asse portante, ad un rapporto tra città alta e mare...
L'area Ceccotti è al contempo la porta, il cuore e il cardine di Civitanova.
C'è chi pensa di farne una lottizzazione, come si fa con qualsiasi superficie edificabile. C'è chi pensa che Civitanova non debba avere un futuro. Non debba avere un volto.
Il rischio di quello che può accadere nell'area Ceccotti, degli effetti letali di processi speculativi fino a ieri riservati alle periferie urbane ed oggi portati nel cuore delle nostre città, deve farci riflettere sui rischi reali dell'applicazione delle leggi che, in nome dello stop al consumo di suolo, si prefiggono di "densificare" le città.


Che cosa significa questo dal momento che l'iniziativa di tali operazioni resta nelle mani dei soggetti privati? Che cosa può accadere se i Comuni continuano a credere di poter fare cassa attraverso l'urbanistica?
Sono domande che dobbiamo porci ora, prima che che si producano gli effetti di quelle leggi. Prima che i nostri ultimi, preziosi, vuoti urbani e le nostre aree dismesse, divengano i nuovi oggetti della speculazione edilizia.
E' in gioco l'identità delle nostre città.




Nessun commento: