sabato 15 settembre 2012

Le città di fiume



Gli elementi che disegnano la terra definiscono, nei luoghi, forme e paesaggi riconoscibili che costituiscono il substrato su cui a loro volta le comunità umane hanno disegnato le città.
Si stabiliscono così rapporti precisi tra forma originaria e architettura umana  che in molti casi si ripetono, divenendo tipici, altre volte sono eccezionali,unici.
Se pensiamo alle città di mare notiamo alcuni caratteri che le accomunano e costituiscono un assunto. Ad esempio notiamo che le città costiere “guardano” il mare  e cercano questo rapporto frontale estendendosi, nel loro svilupparsi, lungo  il litorale. Le città di poggio, al contrario, tendono alla verticalità, costruendosi attorno ad un luogo elevato, un vertice visibile.
La peculiarità delle città costiere e delle città di poggio risulta chiara per effetto del loro attestarsi sul limite delle terre:  sul bordo del mare e sul bordo del cielo
Spesso a noi sfugge come tutte le città, non solo quelle ai limiti delle terre, stabiliscano rapporti profondi e identificativi con il luogo in cui sorgono. Spesso non teniamo conto di altri elementi che entrano in gioco in modo formidabile nel disegnare la fisionomia delle città.
Ascoli, città "disegnata" dai fiumi
Se il termine "città di mare" e "città di poggio" sono termini utilizzati da urbanisti e paesaggisti per focalizzare aspetti fondamentali nell’identificazione dei  centri abitati, nessuno ha mai usato, ad esempio, il termine città di fiume. A volte si utilizza un più generico appellativo di “città valliva”, ma, soprattutto nella realtà marchigiana, questo nome appare profondamente errato perchè non è il fondovalle ma il fiume ad aver richiamato l’interesse degli uomini che lì decisero di stabilire la loro città. E’ il fiume a rappresentare il senso, la coscienza più profonda di queste città.
Urbania - Palazzo Ducale
Nelle Marche le città di fiume non sono numerose come le città di poggio  ma a loro presenza è comunque molto significativa: Urbania, Fossombrone, Pergola, Sassoferrato, Fabriano, Jesi, Chiaravalle, San Severino, Matelica, Tolentino, Comunanza, Ascoli, solo per citare le principali.
In pochissimi casi, per la verità, queste città hanno “visto” il fiume. Soltanto  nel costruire i sistemi di difesa si sono serviti del fiume per il suo essere ostacolo, fossato naturale - come ad Ascoli  - disegnando vere architetture urbane. Solo ad Urbania e più di recente a Senigallia si è cercato un rapporto col fiume incentrato sulla bellezza e sul riconoscimento della valenza urbana della linea d’acqua.
Senigalia - l'affaccio lungo il Misa
 Nella maggior parte dei casi le città di fiume si sono dimenticate di quella che possiamo definire la loro vera madre.
Chiaravalle deve la sua origine all’abbazia cistercense la quale è sorta in quel luogo proprio per la prossimità al fiume, aspetto tipico degli insediamenti dell’ordine. Tuttavia  nella sua genesi urbana il fiume non è stato mai una componente riconosciuta, considerato come “retro” urbano, discarica, minaccia da cui difendersi. Quando il geografo arabo Edrisi visitò Jesi nel 1154 la definì “città bella posta sopra un fiume” identificando il corso d’acqua come parte essenziale dell’immagine della città. Ma oggi per Jesi il fiume è qualcosa di estraneo, esterno, relativo allo spazio extraurbano.
veduta della città di Jesi
Fabriano deve il suo stesso nome a quel “faber janum” per la cui attività le acque del torrente Giano erano indispensabili.  Chi visita oggi il centro storico di Fabriano non vede correre l’acqua, semmai ne “avverte” la mancanza per via di quello strano scendere e risalire  e di quel farsi sinuoso dei fronti edilizi in corrispondenza del luogo più basso dell’abitato. Infatti il Giano c’è, ma non si vede. Cementato, coperto, come si fa con ciò che è di intralcio, che non serve.

Fabriano e il "Giano nascosto"
Lo smarrimento della città di Fabriano non è soltanto l’effetto della crisi di molte delle sue aziende industriali, ma ha radici più profonde che fanno di  quella crisi un trauma dal quale la città non sa riprendersi. Quello smarrimento nasce dalla negazione della sua identità più profonda che non può certo riconoscersi in una stagione economica, ma resta ancorata alla sua origine, al luogo che l’ha generata.
Quel vuoto incolmabile di identità che impedisce ad Ancona di risorgere ancora oggi dai bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale, dove con i rioni portuali è crollato quel legame intimo della città col porto che è l’essenza del suo stesso esistere, quello stesso vuoto è percepibile a Fabriano,  e deriva sempre dalla cancellazione del tratto identificativo della città.
Lubiana - il mercato di Plecnik
Il Giano a Fabriano è molto di più di un corso d’acqua che alcuni vorrebbero riaprire per vaghe, seppur giuste, ragioni ecologiche. Il Giano rappresenta la spina dorsale della città e l’unico elemento attorno al quale la città può riconsiderarsi.
Jose Plecnick ridisegnò Lubiana a partire dal piccolo fiume che attraversava la città, rendendo un modesto paesotto sloveno una città mitteleuropea di invidiata bellezza.
A Fabriano dovremmo davvero pensare ad una simile operazione, che attraverso il Giano ripensi l’area del mercato e gli spazi verdi attorno al quale si attestano servizi come l’ospedale, gli impianti sportivi. 
Chiaravalle e il fiume Esino
Una spina dorsale fatta di luoghi incantevoli  che si insinua nel tratto vecchio e moderno della città rivoluzionando il sistema di spostamento urbano grazie alla creazione di piste ciclabili e modalità di trasporto pubblico innovative.
A Chiaravalle, con la creazione della pista ciclabile lungo fiume, è stata avviata in realtà una esperienza innovativa di ridisegno della città, dove il fiume non è visto solo come sponda da percorrere, ma come elemento di “naturalità” partecipe dell’immagine urbana nella misura in cui questa naturalità penetra all’interno dello spazio costruito, attraverso il sistema delle aree verdi, i percorsi, fino a determinare un nuovo straordinario abbraccio, un nuovo incontro dopo quello che avvenne con la costruzione dell’abbazia. 
Tolentino e il fiume Chienti
Ma perchè questo accada davvero occorre che l’immaginario del progettista che “ha riconosciuto” il fiume, divenga immaginario collettivo e volontà politica.

E’ infatti un nuovo approccio culturale, una nuova sensibilità, un nuovo e più sincero amore verso l’umanità e la terra, ciò che serve per ridare vita alle nostre città.
Che rapporto si può stabilire, ad esempio, tra Tolentino e il Chienti che ne delimita la forma urbana a sud? Che rapporto si può generare tra Jesi e il “suo” Esino in quel breve ma significativo spazio che li separa? E a Matelica, a Pergola? 

Pergola e il fiume Cesano
Ma in generale, come possiamo coniugare oggi le riflessioni attorno allo “spazio di pertinenza fluviale”, come area esondabile in cui è bene evitare di costruire, con quella relazione originaria che la città fluviale deve stabilire con il corso d’acqua? Quali architetture, quali paesaggi, possono esprimere questo rapporto fondato sul rispetto della naturalità del fiume?
Sullo sviluppo di questi temi si basano i destini di queste città, non sulla ricerca di nuove aree industriali né tanto meno nell’individuazione di nuove circonvallazioni, rotatorie e parcheggi.
Ma su questi temi gli urbanisti oggi non sanno che dire ed i politici non vedono che vantaggi trarre nel breve lasso di tempo di un mandato amministrativo.
Non penso siano quelli propri delle istituzioni i luoghi in cui si possa tornare in tempi brevi a parlare di città col linguaggio dell’architettura. Più possibile che questo linguaggio riviva in strada, nelle piazze, nei bar, nei circoli in cui i cittadini si ritrovano per parlare della “loro città”.
Non di quello che servirebbe ai commercianti, agli artigiani, agli anziani, alle infinite categorie in cui si vuole dividere la comunità, ma di quello che accomuna tutti i cittadini, di ciò che costituisce il senso del loro essere una comunità vera: l’dea di città.