Gli elementi che disegnano la
terra definiscono, nei luoghi, forme e paesaggi riconoscibili che costituiscono
il substrato su cui a loro volta le comunità umane hanno disegnato le città.
Si stabiliscono così rapporti
precisi tra forma originaria e architettura umana che in molti casi si ripetono, divenendo
tipici, altre volte sono eccezionali,unici.
Se pensiamo alle città di mare
notiamo alcuni caratteri che le accomunano e costituiscono un assunto. Ad
esempio notiamo che le città costiere “guardano” il mare e cercano questo rapporto frontale
estendendosi, nel loro svilupparsi, lungo
il litorale. Le città di poggio, al contrario, tendono alla verticalità,
costruendosi attorno ad un luogo elevato, un vertice visibile.
La peculiarità delle città
costiere e delle città di poggio risulta chiara per effetto del loro attestarsi
sul limite delle terre: sul bordo del
mare e sul bordo del cielo
Spesso a noi sfugge come tutte le
città, non solo quelle ai limiti delle terre, stabiliscano rapporti profondi e
identificativi con il luogo in cui sorgono. Spesso non teniamo conto di altri
elementi che entrano in gioco in modo formidabile nel disegnare la fisionomia
delle città.
Ascoli, città "disegnata" dai fiumi |
Se il termine "città di mare" e
"città di poggio" sono termini utilizzati da urbanisti e paesaggisti per
focalizzare aspetti fondamentali nell’identificazione dei centri abitati, nessuno ha mai usato, ad
esempio, il termine città di fiume. A
volte si utilizza un più generico appellativo di “città valliva”, ma,
soprattutto nella realtà marchigiana, questo nome appare profondamente errato
perchè non è il fondovalle ma il fiume ad aver richiamato l’interesse degli
uomini che lì decisero di stabilire la loro città. E’ il fiume a rappresentare
il senso, la coscienza più profonda di queste città.
Urbania - Palazzo Ducale |
Nelle Marche le città di fiume
non sono numerose come le città di poggio
ma a loro presenza è comunque molto significativa: Urbania, Fossombrone,
Pergola, Sassoferrato, Fabriano, Jesi, Chiaravalle, San Severino, Matelica,
Tolentino, Comunanza, Ascoli, solo per citare le principali.
In pochissimi casi, per la
verità, queste città hanno “visto” il fiume. Soltanto nel costruire i sistemi di difesa si sono
serviti del fiume per il suo essere ostacolo, fossato naturale - come ad Ascoli
- disegnando vere architetture urbane.
Solo ad Urbania e più di recente a Senigallia si è cercato un rapporto col
fiume incentrato sulla bellezza e sul riconoscimento della valenza urbana della
linea d’acqua.
Senigalia - l'affaccio lungo il Misa |
Nella maggior parte dei casi le
città di fiume si sono dimenticate di quella che possiamo definire la loro vera
madre.
Chiaravalle deve la sua origine
all’abbazia cistercense la quale è sorta in quel luogo proprio per la
prossimità al fiume, aspetto tipico degli insediamenti dell’ordine.
Tuttavia nella sua genesi urbana il
fiume non è stato mai una componente riconosciuta, considerato come “retro”
urbano, discarica, minaccia da cui difendersi. Quando il geografo arabo Edrisi
visitò Jesi nel 1154 la definì “città
bella posta sopra un fiume” identificando il corso d’acqua come parte
essenziale dell’immagine della città. Ma oggi per Jesi il fiume è qualcosa di
estraneo, esterno, relativo allo spazio extraurbano.
veduta della città di Jesi |
Fabriano deve il suo stesso nome
a quel “faber janum” per la cui attività le acque del torrente Giano erano indispensabili. Chi visita oggi il centro storico di Fabriano
non vede correre l’acqua, semmai ne “avverte” la mancanza per via di quello
strano scendere e risalire e di quel
farsi sinuoso dei fronti edilizi in corrispondenza del luogo più basso
dell’abitato. Infatti il Giano c’è, ma non si vede. Cementato, coperto, come si
fa con ciò che è di intralcio, che non serve.
Fabriano e il "Giano nascosto" |
Lo smarrimento della città di
Fabriano non è soltanto l’effetto della crisi di molte delle sue aziende
industriali, ma ha radici più profonde che fanno di quella crisi un trauma dal quale la città non
sa riprendersi. Quello smarrimento nasce dalla negazione della sua identità più
profonda che non può certo riconoscersi in una stagione economica, ma resta
ancorata alla sua origine, al luogo che l’ha generata.
Quel vuoto incolmabile di
identità che impedisce ad Ancona di risorgere ancora oggi dai bombardamenti
dell’ultimo conflitto mondiale, dove con i rioni portuali è crollato quel
legame intimo della città col porto che è l’essenza del suo stesso esistere,
quello stesso vuoto è percepibile a Fabriano,
e deriva sempre dalla cancellazione del tratto identificativo della
città.
Lubiana - il mercato di Plecnik |
Il Giano a Fabriano è molto di
più di un corso d’acqua che alcuni vorrebbero riaprire per vaghe, seppur giuste,
ragioni ecologiche. Il Giano rappresenta la spina dorsale della città e l’unico
elemento attorno al quale la città può riconsiderarsi.
Jose Plecnick ridisegnò Lubiana a
partire dal piccolo fiume che attraversava la città, rendendo un modesto
paesotto sloveno una città mitteleuropea di invidiata bellezza.
A Fabriano dovremmo davvero
pensare ad una simile operazione, che attraverso il Giano ripensi l’area del
mercato e gli spazi verdi attorno al quale si attestano servizi come
l’ospedale, gli impianti sportivi.
Chiaravalle e il fiume Esino |
Una spina dorsale fatta di luoghi
incantevoli che si insinua nel tratto
vecchio e moderno della città rivoluzionando il sistema di spostamento urbano
grazie alla creazione di piste ciclabili e modalità di trasporto pubblico
innovative.
A Chiaravalle, con la creazione
della pista ciclabile lungo fiume, è stata avviata in realtà una esperienza innovativa
di ridisegno della città, dove il fiume non è visto solo come sponda da
percorrere, ma come elemento di “naturalità” partecipe dell’immagine urbana
nella misura in cui questa naturalità penetra all’interno dello spazio
costruito, attraverso il sistema delle aree verdi, i percorsi, fino a determinare
un nuovo straordinario abbraccio, un nuovo incontro dopo quello che avvenne con
la costruzione dell’abbazia.
Tolentino e il fiume Chienti |
Ma perchè questo accada davvero occorre che
l’immaginario del progettista che “ha riconosciuto” il fiume, divenga
immaginario collettivo e volontà politica.
E’ infatti un nuovo approccio
culturale, una nuova sensibilità, un nuovo e più sincero amore verso l’umanità
e la terra, ciò che serve per ridare vita alle nostre città.
Che rapporto si può stabilire, ad
esempio, tra Tolentino e il Chienti che ne delimita la forma urbana a sud? Che
rapporto si può generare tra Jesi e il “suo” Esino in quel breve ma significativo
spazio che li separa? E a Matelica, a Pergola?
Pergola e il fiume Cesano |
Ma in generale, come possiamo
coniugare oggi le riflessioni attorno allo “spazio di pertinenza fluviale”,
come area esondabile in cui è bene evitare di costruire, con quella relazione
originaria che la città fluviale deve
stabilire con il corso d’acqua? Quali architetture, quali paesaggi, possono
esprimere questo rapporto fondato sul rispetto della naturalità del fiume?
Sullo sviluppo di questi temi si
basano i destini di queste città, non sulla ricerca di nuove aree industriali
né tanto meno nell’individuazione di nuove circonvallazioni, rotatorie e
parcheggi.
Ma su questi temi gli urbanisti oggi
non sanno che dire ed i politici non vedono che vantaggi trarre nel breve lasso
di tempo di un mandato amministrativo.
Non penso siano quelli propri
delle istituzioni i luoghi in cui si possa tornare in tempi brevi a parlare di
città col linguaggio dell’architettura. Più possibile che questo linguaggio
riviva in strada, nelle piazze, nei bar, nei circoli in cui i cittadini si
ritrovano per parlare della “loro città”.
Non di quello che servirebbe ai commercianti, agli
artigiani, agli anziani, alle infinite categorie in cui si vuole dividere la
comunità, ma di quello che accomuna tutti i cittadini, di ciò che costituisce
il senso del loro essere una comunità vera: l’dea
di città.