lunedì 28 gennaio 2013

Nuove prospettive per il ritorno ad una vera pianificazione del territorio

Dopo anni in cui abbiamo assistito al progressivo abbandono, da parte delle istituzioni pubbliche, della progettazione dell'assetto del territorio, fino a giungere a forme di delega a soggetti privati - come nel caso del Piano di Area Vasta dell'operazione Quadrilatero - o alla pratica di far fare i piani particolareggiati di iniziativa pubblica e le stesse varianti urbanistiche ai soggetti privati proponenti per poi "decorare" i documenti col timbro ufficiale del Comune, finalmente ecco una sentenza del Consiglio di Stato che riafferma i principi costituzionali inerenti il governo del territorio. Principi costituzionali, aggiornati alle mutate concezioni culturali ed all'evoluzione socio-economica avvenuta in questi 60 anni, che sanciscono come il governo del terrtorio sia funzione pubblica non delegabile ad altri e come l'urbanistica non possa ridursi alle mere problematiche del dove e come costruire garantendo il diritto privato, ma debba gestire anche e soprattutto l'insieme degli aspetti ambientali, ecologici, paesaggistici, culturali e socioeconomici di un territorio.
Si tratta di un ponto di partenza formidabile per reimpostare la pianificazione urbanistica a livello comunale e intercomunale.

A proposito del PRG di Cortina, e precisamente alla scelta operata dal piano di escludere in via generale una nuova edificazione residenziale nel territorio comunale, salvo la circoscritta deroga per nuove edificazioni da eseguirsi sulle sole aree di proprietà comunale e regoliera e destinate ad abitazione per i residenti, così infatti si pronuncia il Consiglio di Stato con sentenza n. 2710/2012:

"Il Collegio osserva che il potere di pianificazione urbanistica del territorio – la cui attribuzione e conformazione normativa è costituzionalmente conferita alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, ex art. 117, comma terzo, Cost. ed il cui esercizio è normalmente attribuito, pur nel contesto di ulteriori livelli ed ambiti di pianificazione, al Comune – non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse. Al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non è limitato solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti), ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico – sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati.
Proprio per tali ragioni, lo stesso legislatore costituzionale, nel novellare l’art. 117 della Costituzione per il tramite della legge cost. n. 3/2001, ha sostituito – al fine di individuare le materie rientranti nella potestà legislativa concorrente Stato - Regioni - il termine “urbanistica”, con la più onnicomprensiva espressione di “governo del territorio”, certamente più aderente, contenutisticamente, alle finalità di pianificazione che oggi devono ricomprendersi nel citato termine di “urbanistica”. D’altra parte, già il legislatore ordinario (sia pure ai fini della attribuzione di giurisdizione sulle relative controversie), con l’art. 34, comma 2, d. lgs. 31 marzo 1998 n. 80, aveva affermato che “la materia urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio”. Tali finalità, per così dire “più complessive” dell’urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla legge 17 agosto 1942 n. 1150, laddove essa individua il contenuto della “disciplina urbanistica e dei suoi scopi” (art. 1), non solo nell’”assetto ed incremento edilizio” dell’abitato, ma anche nello  “sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica”. In definitiva, l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al iritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo.
 Uno sviluppo che tenga conto sia delle potenzialità edificatorie dei suoli - non in astratto, bensì in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi –, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico – sociali della comunità radicata sul territorio, sia, in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione, ubicazione e di una riflessione “de futuro” sulla propria stessa essenza, svolta - per autorappresentazione ed autodeterminazione - dalla comunità medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora , attraverso la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio.
In definitiva, il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma esso è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti. Ne consegue che, diversamente opinando, e cioè nel senso di ritenere il potere di pianificazione urbanistica limitato alla sola prima ipotesi, si priverebbe la pubblica amministrazione di un essenziale strumento di realizzazione di valori costituzionali, quali sono almeno quelli espressi dagli articoli 9, comma secondo, 32, 42, 44, 47, comma secondo, Cost.. D’altra parte, a diversa conclusione non può giungersi nemmeno sostenendo che, attraverso la considerazione di esigenze diverse, l’amministrazione finirebbe per comprimere il contenuto stesso del diritto di proprietà, e lo stesso ius aedificandi allo stesso connesso. Senza volere entrare in un dibattito ampio ed ultratrentennale, che ha visto numerosi interventi della Corte Costituzionale, occorre almeno ricordare come sia stato affermato che nel nostro ordinamento non è individuabile un solo astratto diritto di proprietà, dipendendo il contenuto dello stesso dalla natura intrinseca del bene (sentenze nn. 55 e 56 del 1968).
 La Corte Costituzionale ha, in particolare, affermato, con sent. 9 maggio 1968 n. 55, che “senza dubbio la garanzia della proprietà privata è condizionata, nel sistema della Costituzione, dagli artt. 41 al 44, alla subordinazione a fini, dichiarati ora di utilità sociale, ora di funzione sociale, ora di equi rapporti sociali, ora di interesse ed utilità generale. Ciò con maggiore ampiezza e vigore di quanto è stabilito dagli artt. 832 e 845 del Codice civile, i quali, per il contenuto del diritto di proprietà fondiaria in particolare, richiamano, rispettivamente, i limiti e gli obblighi stabiliti "dall'ordinamento giuridico" e le regole particolari per scopi di pubblico interesse. . . . Secondo i concetti, sempre più progredienti, di solidarietà sociale, resta escluso che il diritto di proprietà possa venire inteso come dominio assoluto ed illimitato sui beni propri, dovendosi invece ritenerlo caratterizzato dall'attitudine di essere sottoposto nel suo contenuto, ad un regime che la Costituzione lascia al legislatore di determinare”. Allo steso tempo, anche laddove la Corte Costituzionale ha affermato l’inerenza dello ius aedificandi al diritto di proprietà (con la nota sentenza 30 gennaio 1980 n. 5), essa ha precisato che “è indubbiamente esatto che il sistema normativo attuato per disciplinare l'edificabilità dei suoli demanda alla pubblica autorità ogni determinazione sul se, sul come e anche sul quando . . . della edificazione . . .”, di modo che se da ciò deriva che “il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà e alle altre situazioni che comprendono la legittimazione a costruire . . . di esso sono stati tuttavia compressi e limitati portata e contenuto, nel senso che l'avente diritto può solo costruire entro limiti, anche temporali, stabiliti dagli strumenti urbanistici”.
Ovviamente, il potere di pianificazione urbanistica, a maggior ragione in considerazione della sua ampia portata in relazione agli interessi pubblici e privati coinvolti, così come ogni potere discrezionale, non è sottratto al sindacato giurisdizionale, dovendo la pubblica amministrazione – come ribadito dalla costante giurisprudenza del giudice amministrativo – dare conto, sia pure con motivazione di carattere generale, degli obiettivi che essa, attraverso lo strumento di pianificazione, intende perseguire e, quindi, della coerenza delle scelte in concreto effettuate con i detti obiettivi ed interessi pubblici agli stessi immanenti".

Per quanto riguarda la realtà marchigiana occorre ora analizzare il livello di congruenza o di incongruenza tra questa sentenza e la proposta di revisione della Legge Urbanistica regionale già presentata in Giunta, anche in considerazione delle questioni che tale sentenza inevitabilmente apre relativamente, ad esempio, alle pratiche di vera partecipazione dei cittadini nei processi decisionali.