Sembra che al momento siano sostanzialmente due le proposte di
revisione della legge urbanistica regionale, avanzate una dalla Giunta regionale e una dal Forum dei movimenti per la terra e il paesaggio delle marche (sarei lieto se qualcuno spiegasse la necessità di questa distinzione terra-paesaggio) .
Entrambe le proposte, al di là degli aspetti positivi che comunque portano rispetto all'attuale testo di legge, sembrano non sapere o non volere cogliere fino in fondo l’opportunità di una
profonda riflessione sul senso e sugli obiettivi del fare urbanistica in una
realtà radicalmente mutata sotto l’effetto della crisi economica e della sempre
più diffusa consapevolezza ecologica nella società civile.
La minore esigenza di nuova
edificazione e la centralità del tema del recupero, l’urgenza di una
riqualificazione ambientale che porti ad un generale miglioramento delle
condizioni di vita nelle città, le esigenze di risparmio energetico e di limitazione
riduzione dei costi nell’edilizia, la spinta verso un rilancio del trasporto
pubblico, l’opportunità di un ritorno ad un protagonismo dell’autorità pubblica
nella pianificazione territoriale, la necessità di dimagrimento della
burocrazia e della stratificazione dei livelli amministrativi, la tangibile
trasformazione degli assetti urbani nella regione che impone una accurata
analisi dell’attuale architettura insediativa e della dinamica dei flussi
funzionali, sembrano toccare soltanto marginalmente i due testi di legge
proposti.
La complessità del compito che
attende gli urbanisti nella riscrittura della pianificazione regionale alla
luce delle trasformazioni attuate ed in corso di attuazione appare tanto più
ingente quanto ampia appare la distanza con l’atteggiamento che sta alla base
dei due testi di legge proposti, ripiegati su una tediosa gerarchiazzazione e
composizione dei livelli amministrativi, su infiniti passaggi istituzionali,
che tuttavia – implicitamente - lasciano l’iniziativa del disegno del
territorio agli interessi privati, fondati ancora sulla speculazione
immobiliare.
Per affrontare questa complessità
è utile articolare la questione urbanistica in tre livelli riferibili,in
sintesi, alla struttura, alla titolarità, ed alle pratiche della pianificazione
territoriale oggi.
1.
L’ordinamento dell’attività di
panificazione del territorio è oggi strutturato sul modello deduttivo, di
chiara derivazione positivista, che procede dal generale al particolare, quindi
dalla scala Regionale a quella Provinciale e Comunale. Le due proposte di legge
non modificano questo modello, aggiungendo semplicemente il livello
“intercomunale” tra quello provinciale e comunale.
Questa nuova dimensione
intercomunale appare sostanzialmente un ulteriore stadio amministrativo senza
precisi riferimenti al riconoscimento della mutata configurazione dei sistemi
insediativi. Non è chiarito chi e in base a che cosa arrivi a definire gli
ambiti intercomunali. Non è parimenti definito come possa inserirsi un reale
processo partecipativo – elemento innovativo davvero necessario nella nuova
pianificazione – se la dimensione locale appare addirittura depotenziata e
sottomessa alla nuova scala intercomunale.
Il cambiamento dei contenuti e
dei modi della pianificazione deve potersi esprimere innanzi tutto come
cambiamento culturale e di pensiero.
Il processo deduttivo-positivo va
quindi sostituito da un processo basato sul concetto di dialogo e solidarietà. Un processo che invece che scendere
dall’alto al basso, riesca a svilupparsi contemporaneamente dall’alto e dal
basso per definirsi al centro, che in luogo della sequenza ante-post si esprima
come continuo confronto dialogico analisi-decisione-verifica.
Pensiamo che a livello regionale
si debba esprimere un solo atto di pianificazione,
comprensivo di tutte le tematiche specialistiche e continuamente in evoluzione
in quanto sensibile ai mutamenti delle condizioni globali e alle sollecitazioni
provenienti dai territori.
Pensiamo che a livello comunale
debba esprimersi il processo partecipativo attraverso il riconoscimento del
valore collettivo dei luoghi. Un percorso educativo ed espressivo rivolto a chi
abita il territorio che sappia fornire elementi conoscitivi generali sulla
realtà regionale, sulla storia e sui processi di formazione degli assetti
attuali, che manifesti, attraverso lo
statuto dei luoghi, anche la dimensione affettiva di una comunità civile
verso la “sua” terra, ed attraverso questa delinei l’aspettativa per una realtà
futura.
Questi due cammini, diversi nel
modo di osservare e nei linguaggi utilizzati, devono poter trovare una sintesi
a livello intercomunale. Un livello, quello intercomunale, che non è una “fase
aggiuntiva” nel processo di pianificazione, ma rappresenta davvero l’unità
territoriale di base.
Questi ambiti “conformi” nello
scenario territoriale regionale devono essere riconosciuti attraverso una
accurata analisi delle unità di paesaggio, delle reti, dei sistemi insediativi
complessi, delle strutture funzionali. Questo riconoscimento deve avvenire
all’interno ed all’inizio del processo di formazione dello strumento
urbanistico regionale. Deve riverberare nelle discussioni attorno agli statuti
dei luoghi ed anche da queste assumere elementi per definire ambiti che quasi
mai possiamo considerare come “perimetri chiusi” ma semmai come gangli di un
sistema nervoso diffuso e ramificato ,o meglio, di più sistemi a rete
sovrapposti e correlati.
Questo aspetto è di grande
importanza per evitare di riprodurre uno “zoning” che apparirebbe una grottesca
trasposizione di una visione funzionalista del territorio assai distante da una
cultura, quella odierna, che dovrebbe ormai aver fatto propri i principi
dell’ecologia.
Lo studio per l’individuazione degli ambiti territoriali - siano essi
sistemi policentrici urbani, che tessuti insediativi diffusi di tipo rurale – è
di estrema attualità ed andrebbe posto alla base di una nuova stagione di
dibattito urbanistico nella regione.
2.
La titolarità della
pianificazione ormai da anni è solo apparentemente nelle mani della pubblica
amministrazione. In realtà l’iniziativa urbanistica è svolta quasi
essenzialmente dai soggetti privati sotto la spinta degli interessi
immobiliari. La mancanza di fondi pubblici ma soprattutto la deriva
neoliberista della politica italiana hanno trasformato la parte pubblica da
“controparte” dei privati che agisce nell’interesse della collettività a “socia in affari” dei soggetti privati
con la preponderante finalità di dividersi con questi i proventi dell’attività
edilizia per chiudere il bilancio comunale in pareggio.
Oltre che profondamente deviato,
questo atteggiamento è fallimentare sul piano finanziario ed ormai estraneo
alle mutate condizioni socio-economiche nella crisi di sistema che stiamo
attraversando.
La crisi ha portato ad una stagnazione
del mercato della nuova edificazione. Il problema oggi non è governare le
pressioni dei soggetti interessati a compiere trasformazioni del territorio, ma
è individuare soggetti interessati a fare investimenti in una situazione in cui
a fronte di una enorme disponibilità di invenduto e dimesso è venuto meno
l’interesse economico nelle costruzioni.
Occorre quindi che il soggetto
pubblico introduca nel territorio una capacità di visione, un dinamismo ed una
progettualità capaci di far apparire appetibile un territorio altrimenti
destinato all’abbandono. Gli strumenti per far questo sono quelli propri della
pianificazione urbanistica e della progettazione architettonica, le uniche
discipline che possiedono (o meglio dovrebbero possedere) la naturale attitudine
di affrontare la questione territoriale non in termini monetari, ma in termini
di relazioni virtuose, di valori aggiunti, di progresso e di bellezza.
Ci troveremo ad affrontare
situazioni in cui ci saranno ben pochi interventi di trasformazione, per lo più
rivolti al recupero dell’esistente.
Situazioni complesse, con
proprietà spesso frazionate, destinate - se vincolate ad una accordo di tutti i
soggetti coinvolti - a bloccarsi con estrema facilità e dare luogo a infiniti
contenziosi.
Per gestire questi progetti
complessi è auspicabile il ritorno allo strumento dell’esproprio ed al
coinvolgimento dei soggetti privati in
una dimensione societaria. La Società di trasformazione urbana può divenire, se
gestita in modo adeguato, lo strumento attuativo più efficiente e che può
garantire il pieno controllo pubblico della qualità dell’intervento.
In molti casi è prevedibile che
l’intero piano regolatore, nella dimensione comunale, possa essere gestito
attraverso STU. La generalizzazione della procedura di esproprio nei processi
di trasformazione del territorio potrebbe portare al tramonto della
speculazione fondiaria, che sta alla base della devastazione operata negli
ultimi 50 anni di delirio urbanistico.
Ma la dimensione propria del PRG
non è quella comunale, bensì quella dell’ambito intercomunale che è destinato a
diventare anche ambito ottimale per l’organizzazione del sistema
socio-assistenziale, per quello scolastico, per la gestione dei rifiuti e dei
servizi a rete.
Ai sindaci dei comuni, dopo l’iniziale
presa di coscienza attraverso lo statuto dei luoghi, resta il compito di
attuare le previsioni del PRG attraverso il piano operativo, nell’attesa di una
ricomposizione del sistema amministrativo su base regionale che, con
l’affermazione della dimensione
intercomunale, porti progressivamente alla scomparsa delle province e
dei piccoli comuni stessi.
Se i soggetti base della gestione
del territorio sono quindi la Regione e gli ambiti intercomunali, una delle
prime cose da attivare - una volta riconosciuti gli ambiti – sarà un sistema di
monitoraggio e di ri-valutazione costante che faccia capo questi due soggetti.
Pensiamo da un lato ad un
osservatorio regionale in relazione permanente con degli uffici di piano collocati
in ciascun ambito intercomunale. Una struttura tecnica che dovrebbe
assomigliare più ad un centro studi che ad un apparato amministrativo,
collegato ai dipartimenti universitari ed agli altri centri di elaborazione
presenti sul territorio. Una struttura che sappia trasmettere alla politica
informazioni adeguate per metterla in grado di assumere decisioni basate sul
quadro reale della situazione.
E’ questo centro studi che,
interagendo anche con la dimensione locale, definisce ed aggiorna le strategie
ponendole al vaglio della politica, a partire da orizzonti da questa delineati.
Ciò permette di sostituire l’idea
di un controllo legislativo – fatto con vincoli, direttive, parametri e
standard numerici – con un controllo tecnico-disciplinare operato in relazione
alle diverse situazioni in essere.
Il principio dello stop al
consumo del territorio, ad esempio, resta sempre valido in quanto principio, ma
può assumere contorni di ottusità se rapportato, ad esempio, ad una realtà
urbana addensata ed ai limiti del collasso ambientale, laddove invece la visone
di un riassetto complessivo del sistema potrebbe dar luogo, attraverso
operazioni di diradamento e limitate occupazioni di suolo, ad una
configurazione assai migliore rispetto alla precedente, sia in termini
funzionali che sociali e ambientali.
3.
Le buone pratiche sono per certi
versi una variabile indipendente nel quadro di un riassetto complessivo del
sistema della pianificazione territoriale regionale, nel senso che non devono
attendere necessariamente l’attuazione della nuova struttura organizzativa o
dei nuovi Piani previsti, potendo fin d’ora – ove si creino le condizioni
politiche – concretizzarsi in esperienze pilota e così illuminare la strada che
porta all’affermazione di una nuova cultura del territorio.
Il censimento del patrimonio
inutilizzato e degli edifici da recuperare, in ambito comunale, sarebbe un’iniziativa
estremamente utile, così come la verifica dei costi reali delle nuove
urbanizzazioni a confronto con gli introiti derivanti dagli oneri di
urbanizzazione.
La sperimentazione di ambiti di
recupero a basso costo, in autocostruzione, o di iniziative coordinate che
attraverso la leva degli incentivi sappiano rendere appetibile l’abitare nei
centri storici anche per le giovani coppie.
L’affermazione di reti di
percorrenza ciclabile e l’individuazione di forme agili di trasporto pubblico
e/o collettivo.
Queste, come altre che non stiamo
qui ad elencare, sono tutte iniziative che non possono non far parte
dell’agenda di chi, nell'amministrazione della cosa pubblica, si propone di dare un
segnale di svolta, di uscire dalla logica per cui senza soldi non si può fare
nulla. Logica che dovrebbe portare chi la persegue a dare coerentemente le
dimissioni per l’impossibilità di dare una prospettiva, un futuro alla comunità
che amministra.
Ma accanto all’ambito locale
preme sottolineare l’importanza di avviare fin d’ora una ricognizione sul paese
reale, sulle Marche, dopo gli ultimi due lustri in cui si è perpetuato un
saccheggio incondizionato.
Pensiamo ad esempio ad una
perlustrazione dall’alto, ad una descrizione della regione utile anche ad una
attività educativa nelle scuole. Primo, essenziale atto di un complesso
percorso di risveglio partecipativo e culturale della popolazione.
Forse, accanto alla presa d’atto
degli scempi compiuti e di quanto oramai è andato perduto, ci accorgeremo che
le nuove configurazioni, i nuovi paesaggi pur derivati da quei traumatici
processi, mostrano aspetti interessanti, talvolta anche affascinanti. E ci
mostrano già la speranza, la possibilità di un prossimo riscatto.
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