Le Marche sono descritte come la
regione delle cento città, terra dei
tanti campanili dove ogni piccolo paese conserva fieramente la propria identità
e si presenta, storicamente, come una realtà pressoché autosufficiente con i
propri servizi essenziali, i piccoli teatri, i campi sportivi, la chiesa, la
scuola…
E’ questa ancora l’immagine della
geografia che applichiamo alle Marche e che riproponiamo negli spot turistici
così come nelle relazioni sull’andamento socio-economico regionale .
E’ questa ancora la struttura
amministrativa: 239 municipi per una popolazione complessiva di 1.541.692
abitanti (al 30 /10/12), con una
dimensione media per comune di 6450 abitanti, dai 100.343 di Ancona ai 128
abitanti di Acquacanina (MC).
Una struttura insediativa,
gerarchicamente ordinata, derivata dallo Stato Pontificio, rimasta la stessa
con l’unità d’Italia e negli anni dell’industrializzazione. E’ a quella
struttura insediativa che ci riferiamo ancora parlando delle Marche.
Eppure la geografia reale della
nostra regione è profondamente cambiata, specie negli ultimi 50 anni e non
tanto per l’ammodernamento delle rete infrastrutturali, che anzi non altera
sostanzialmente l’intelaiatura esistente, fondata sul pettine formato dalla direttrice
adriatica e dalle penetrazioni vallive, essendo intervenuto soltanto sulla
“portata” dei singoli assi strutturali. Ciò che è mutato radicalmente, tanto da
definire una geografia davvero nuova rispetto a quella a cui ancora ci
riferiamo è la forma e l’organizzazione
dello spazio urbano.
Non è soltanto un fenomeno dovuto
all’estensione della superficie urbanizzata ad una scala territoriale, come
alcuni studi hanno già sottolineato, in quanto per molti versi nelle Marche si
era già storicamente affermata una fisionomia da “città-territorio”. Né si può riferire ancora il fenomeno al
concetto generale di sprawling urbano
che interessa, seppur con diverse modalità, tutti quei territori che hanno
assistito ad una rapida industrializzazione negli ultimi decenni del ‘900. Si tratta in modo più peculiare di una
evoluzione dello sprawling che ha addensato in alcuni ambiti territoriali dei
sistemi urbani complessi attorno alle relazioni particolarmente intense
formatesi tra città contigue. Queste nuove configurazioni, definite dagli
urbanisti più rigorosi come “sistemi policentrici urbani”, sono in continua
evoluzione, ma costituiscono già da tempo la nostra realtà consolidata.
Sebbene si siano formati a
partire dalla dimensione della “rete” insediativa e del “sistema territoriale”,
questi addensamenti, caratterizzati da una spiccata specializzazione funzionale
per zone, hanno iniziato a definire vere e proprie “configurazioni” urbane.
Stanno dando vita cioè a vere e proprie nuove città con una loro “forma” specifica.
Non si tratta certo della forma
urbana geometricamente definita sulla separazione netta tra città e non città,
poiché sempre di moderno fenomeno di città-territorio stiamo parlando, ma la
particolarità con cui il sistema insediativo si organizza sulla morfologia
territoriale, entra in relazione con gli elementi fisici del paesaggio, colloca
e organizza i grandi parchi territoriali rispetto alle aree insediative e
produttive, distribuisce le dinamiche interne ed i flussi anche con nuove reti
di mobilità, tutte queste modalità assumono una “forma” ed un “disegno”
indipendentemente dal fatto che noi ne abbiamo o meno consapevolezza.
Se poi iniziassimo ad esaminare i
flussi e le dinamiche socio-economiche nel loro disporsi sul territorio ci
accorgeremmo che queste nuovi complessi urbani “funzionano” anche come tali. E
questo nonostante la nostra vecchia visione geografica continui ad imporre
logiche diverse, a partire dall'organizzazione amministrativa, alla gestione
dei servizi e della programmazione.
Perché la questione della
geografia delle Marche deve essere ritenuta importante? Perché non può essere
ridotta ad una stucchevole esercitazione accademica da architetti dalla
mentalità vecchia e superata che ancora cercano di predicare l’importanza della
pianificazione nell’epoca della deregulation?
Semplicemente perché la capacità
di sopravvivenza di una civiltà sta proprio nella sua capacità di vedere la
realtà che ha di fronte e stabilire con essa e per mezzo di essa rapporti
chiari. Perché la mutazione socio-economica che stiamo affrontando ci impone
una riorganizzazione della struttura sociale e amministrativa e per far questo
occorre partire dalla realtà.
Da tempo si discute attorno al
superamento della dimensione provinciale e comunale verso una nuova entità
amministrativa di “area vasta”, di scala intercomunale, in modo da ridurre
l’organizzazione amministrativa del territorio in due livelli: regionale e,
appunto, di area vasta. Si tratta di questioni
riconosciute come afferenti alle dinamiche economico-organizzative dettate
dalla necessità di ridurre la spesa pubblica e di snellire gli iter
burocratici. Una questione che si “cala” sul territorio anziché partire dal
territorio.
Che cos’è infatti questa area
vasta, come possiamo individuare i comuni che ne faranno parte, nessuno lo sa. In
nome dell’area vasta assistiamo a fusioni volontarie di comuni, sempre dettate
da motivi di risparmio nella spesa e/o efficienza nei servizi, che avvengono
per vicinanza politica tra questo e quel sindaco e per complessi di convenienze
locali.
In altri termini le entità
geografico-amministrative su cui si dovrà fondare la nuova struttura sociale
sembra debbano essere “create” , inventate a partire da motivi che nulla hanno
a che fare con la realtà ma che hanno a che fare soltanto con ragioni di
opportunità.
Se tuttavia guardiamo alla realtà
della nuova geografia delle Marche ci accorgiamo che gli ambiti intercomunali,
i sistemi policentrici, esistono già e vanno semplicemente “riconosciuti”. E
che partire da quel riconoscimento, fondando su di esso la riorganizzazione del
paese, è determinante per stabilire il senso di questa riorganizzazione e sulla
capacità che essa avrà di determinare un rinnovamento “reale” della società.
In altri termini il modo con cui
affronteremo la questione dell’ “area vasta” sarà decisivo rispetto al
cambiamento che ci si propone di indurre nella struttura socio-economica della
nostra regione. Se guarderà ad un territorio immaginario non sarà che un
cambiamento a parole. Se guarderà al territorio reale sarà un cambiamento reale
in grado di incidere, anche solo potenzialmente, sul nostro futuro.
Purtroppo nella nuova legge
urbanistica regionale, prodotta dalla giunta regionale, non c’è traccia di una
riflessione su questa tematica, che pure è essenzialmente urbanistica.
E invece è proprio la discussione
attorno alla riorganizzazione del sistema della pianificazione l’occasione vera
per prendere atto della nuova geografia marchigiana e fondare su quella la
ristrutturazione del sistema amministrativo e del welfare, facendo coincidere
gli ambiti d’area vasta con le unità di base del sistema sanitario ed
assistenziale, dell’istruzione, dei servizi a rete, del recupero,dell’energia….
evidente la non corrispondenza della "geografia politica" rispetto alla geografia reale del sistema insediativo nell'area del fermano |
Un'occasione irripetibile, se
vogliamo davvero semplificare e rendere più efficiente la macchina pubblica, se
vogliamo davvero innovare il Paese, se vogliamo davvero cambiare nell’interesse
delle Marche e della sua gente.
Inizieremo su Ippòdamo una
lettura sintetica delle nuove configurazioni urbane delle Marche a partire, per
il momento, dagli aspetti morfologico-distributivi delle nuove realtà
insediative.
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